Giugno - Settembre 2020
Arte e lockdown. Generazioni di artisti a confronto
Lo spazio reale, interiore e virtuale.
Elena Tettamanti, Presidente di Amici della Triennale, racconta il ciclo di incontri "Arte e Lockdown. Generazioni di artisti a confronto".
Incontri promossi dagli Amici della Triennale tra artisti di generazioni diverse che hanno dialogato sul tema dell’Arte e Lockdown.
L’attività degli Amici della Triennale è ripartita dopo la forzata sosta di tre mesi con un’iniziativa concepita per Triennale Estate che, nel giardino aperto alla città, ha trovato una cornice ideale che ci ha riconciliato con lo spazio aperto dopo mesi di reclusione. Il “format” dell’evento è stato articolato sull’incontro di coppie di artisti contemporanei appartenenti a generazioni diverse chiamati a confrontarsi su arte e lockdown e come l’esperienza della pandemia abbia inciso sull’aspetto creativo e sulla fruizione dell’esperienza artistica.
Si tratta di temi che hanno toccato tutti da vicino. Ci è parso interessante indagare “dal vivo”, con l’aiuto degli stessi artisti, come l’isolamento forzato legato alla pandemia abbia influenzato il processo creativo dell’artista e come le scelte fatte possano aver suggerito nuove soluzioni che avranno una ripercussione anche sulle modalità di fruizione da parte del pubblico. Punto di partenza delle conversazioni è stato capire come gli artisti abbiamo vissuto lo spazio durante la quarantena, quello reale e virtuale e soprattutto quello interiore.Partendo dallo spazio fisico, è stato interessante notare come gli artisti della generazione più matura abbiano fatto della loro casa anche il luogo del loro lavoro e della creazione. Nonostante il forzato isolamento, tutto ciò ha portato pochi cambiamenti rispetto alla loro pratica artistica.
Per gli artisti più giovani, abituati invece ad una separazione tra vita familiare e pratica artistica in studio, in un “luogo altro”, il lockdown ha portato ad un mutamento più radicale. Andrea Sala, ci ha raccontato come l’isolamento forzato lo abbia portato ad assumere un nuovo punto di vista costringendolo a ritagliarsi più tempo per pensare prima di produrre l’opera, abbandonando le sue precise metodologie di lavoro organizzate su schemi puntuali. Riportare ad una dimensione domestica la pratica artistica ha condotto ad un cambiamento anche Patrick Tuttofuoco. Per lui la chiave di questo cambiamento è stata proprio la prossimità alle cose, la vicinanza con la materia e l’accorciarsi delle distanze.
Uno dei maggiori cambiamenti nel processo creativo è stato causato dalla difficoltà nel reperimento della materia prima per le opere. Tuttavia questo ha incentivato gli artisti a dedicarsi maggiormente al disegno, che è stata un’espressione ricorrente durante il lockdown. Dal punto di vista del vissuto interiore, la reclusione forzata per alcune persone è stato un momento di consolidamento di sé stessi, per altri un momento di crisi profonda. E questo è legato al senso di solitudine e vulnerabilità che tutti noi abbiamo sperimentato, a cui gli artisti possono dare senso e profondità con la loro sensibilità.
Ad esempio, Emilio Isgrò ha sottolineato come la solitudine sia una condizione della natura stessa dell’artista a suo avviso, anzi, non deve essere immerso nella realtà, ma mantenere un punto di vista staccato per potere avvicinarsi alla realtà con un sentimento critico e poterla poi raccontare. Paradossalmente la separazione forzata ha acuito questa sensibilità e non gli ha fatto sentire nessuna mancanza durante la reclusione forzata. Secondo Remo Salvadori la vulnerabilità è una condizione permanente dell’essere umano ed è per lui indispensabile al fine della ricerca e della creazione. Esserne coscienti non genera debolezza, ma forza. Questa esperienza ha portato gli artisti ad una maggiore consapevolezza degli stati interiori e per alcuni, come Liliana Moro, l’occasione per riflettere sui progetti futuri. Ci ha raccontato di aver lasciato scorrere il tempo in questi mesi, così il silenzio le ha permesso di concentrarsi su piccoli suoni e movimenti della città e proprio questi due elementi sono i protagonisti di una sua installazione sonora da poco inaugurata.
Il tempo rallentato non è stato vissuto come un limite anche da Diego Perrone, che ci ha raccontato come sia stato per lui un periodo ricco di stimoli. In particolare, come artista visivo, è stato colpito dalle immagini delle città italiane deserte, trasformate in quadri di De Chirico e vorrebbe partire proprio da queste per le sue prossime creazioni.
Per quanto riguarda lo spazio virtuale, tutti gli artisti hanno ricevuto numerose richieste da parte di istituzioni culturali per intervenire in progetti digitali. Tuttavia a queste iniziative, ha risposto soprattutto la generazione più giovane. Un’altra considerazione emersa è che i contenuti inseriti sui social siano limitati ad essere delle “manifestazioni di esistenza” in quanto spesso non vi è stata alla base una vera e propria ricerca.
Parlando di scambi tra generazioni di artisti, Patrick Tuttofuoco è stato allievo di Remo Salvadori e ci ha raccontato di come sia stato in grado di costruire nell’ambiente fisico della classe un luogo di incontro, non solo di insegnamento e non gerarchico. Anche Alberto Garutti e Diego Perrone hanno raccontato del loro iniziale rapporto come maestro e allievo. Garutti ha dichiarato come avesse capito subito che Perrone fosse un “bravissimo artista” e quest’ultimo ci ha confidato come i suoi insegnamenti fossero un vero e proprio atto di generosità nei suoi confronti. Infatti le lezioni da lui tenute erano uno scambio personale ed emotivo.
Proprio la mancata possibilità di condividere esperienze e di partecipare attivamente a dibattiti è stata percepita da molti degli artisti come una vera e propria mancanza. Tuttavia, è emerso come questa pandemia abbia permesso a ciascuno di noi di sentirsi parte attiva di una comunità.
La vera sfida sarà creare nuove forme di fruizione dell’arte, anche su piattaforme digitali, anche se il rapporto diretto con l’opera d’arte resta imprescindibile perché, su questo tutti gli artisti concordano, dall’incontro nasce l’emozione. Proprio la complicità emotiva è alla base delle opere di Alberto Garutti. A suo parere, l’opera d’arte vive solo quando la rendi pubblica, nel momento in cui lo spettatore la guarda e con essa dialoga. La pandemia è stata vista e vissuta come un’ulteriore dimostrazione della fragilità del nostro pianeta e, a seguito della reclusione forzata, vi è stato un aumento di sensibilità e una presa di coscienza comune su quanto il ruolo di ciascuno sia importante.
Beatrice Marchi, nel concreto, per l’ideazione delle sue opere cerca di ridurre il loro impatto ambientale partendo dalla scelta di materiali e limitando i suoi spostamenti. È interessante notare come lei si dedicasse prima principalmente alle performance mentre ora, dato la situazione, dovrà pensare a nuove forme di espressione. Auspicabilmente la visione antropocentrica del mondo che si aveva prima avrà ancora meno ragione di esistere e vi sarà sempre più la necessità di tornare a riconoscere il ruolo fondamentale della natura.
Elena Tettamanti
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