Mario e Marisa Merz al MACRO.
MARISA E MARIO MERZ
STO IN QUELLA CURVA DI QUELLA MONTAGNA CHE VEDO RIFLESSA IN QUESTO LAGO DI VETRO. AL TAVOLO DI MARIO
La mostra su Mario e Marisa Merz in corso al Macro di Roma (fino al 12 giugno 2016) ha un titolo che racconta splendidamente di un sodalizio che è stato anzitutto intellettuale, ma alimentato pure da una forte affinità emotiva: “Sto in quella curva di quella montagna che vedo riflessa in questo lago di vetro. Al tavolo di Mario”. Già in questa frase — “rubata” agli appunti personali di Marisa e poeticamente accostata ai nomi dei protagonisti da Claudio Crescentini, Costantino D’Orazio e Federica Pirani, curatori della mostra — è possibile leggere tutti gli elementi che il visitatore incontrerà tra le sale espositive; il vetro, le montagne, le curve sinuose, lo stesso Mario: di fatto i collanti dei rispettivi lavori che parlano delle delicate creazioni di Marisa, ma anche del vigore estetico di quelle del marito.
La frase si presta dunque a introdurre le carriere di due dei più rappresentativi e influenti artisti italiani del ‘900, chiarendo le premesse di un dialogo che è durato ininterrottamente per almeno quaranta anni.
IL DIALOGO E IL CONFRONTO. TESTE E SPIRALI
Il percorso espositivo si apre con uno dei grandi tavoli in ferro e vetro progettati da Mario Merz (1940-2003) a partire dagli anni ’70 e, nel tempo, riproposti per interagire con gli igloo e gli immancabili neon; in questa nuova versione, però, il vetro sembra materializzarsi per accogliere le numerose testine in terracotta di Marisa. E fare da contrappunto fisico alla volatilità delle installazioni in filo di rame che gli fanno da sfondo.
Per Mario, in effetti, il tavolo è solo un espediente per dare forma all’energia che pervade le sue istallazioni. La spirale che ne detta la forma è a ben vedere la reale protagonista del suo lavoro; una forma ideale che sembra raggiungere la compiutezza quasi sempre attraverso la sovrapposizione di altri elementi. In questo caso, sono le sculturine di Marisa ad attivarne la vocazione energetica, attraverso un trattamento plastico della terracotta in grado di restituire profili e sguardi intensi e pieni di significati.
VOLATILE E NON FINITA. L’ARTE DI MARISA MERZ
Nonostante la presenza invadente delle opere più celebri del marito — notevole la grande spirale in neon Un segno nel foro di Cesare (2003) — la mostra sembra tessere un racconto delicato, molto più in linea con le prove stilistiche di Marisa e orientato a restituirle il giusto peso nella storia dell’arte italiana. Le teste in terracotta, i disegni e i dipinti della maturità, le costruzioni geometriche in rame, le operose tessiture a maglia realizzate con il medesimo materiale descrivono un approccio all’arte totale, ma rigorosamente in punta di piedi. Sembra che ciascuna prova, infatti, rifiuti la conclusione per rifugiarsi in una zona che lascia aperta ogni interpretazione. La volontà stessa di presentare i suoi lavori in relazione a quelli del marito sembra offrire nuove letture, nuovi raccordi critici per continuare a pensare le sue creazioni come tante “opere aperte”.
AD OCCHI CHIUSI GLI OCCHI SONO STRAORDINARIAMENTE APERTI
Naturalmente la scelta delle tecniche riflette bene questo atteggiamento: la cera, la terracotta e il leggerissimo filo di rame permettono di procrastinare la forma finale. Sono materiali che a fatica possono considerarsi finiti, rimanendo piuttosto instabili e inconsistenti. Ad occhi chiusi gli occhi sono straordinariamente aperti è del resto il titolo che Marisa scelse per la personale alla Galleria dell’Attico del 1975, a conferma di come nel suo personale universo estetico sia sempre l’occhio interiore a farsi motore della creazione, quasi indifferente all’aspetto finale dei suoi lavori. Lo stesso può dirsi per i dipinti in cui visi e lineamenti non ricalcano un disegno predefinito, ma, al pari delle cere, preferiscono restare in attesa.
Le belle fotografie di Claudio Abate che concludono la mostra raccontano di tutto questo e altro ancora, mettendo a fuoco la collaborazione e la complicità tra Mario e Marisa, i rispettivi lavori e la placida poesia che hanno caratterizzato la loro lunga carriera.
Elena Tettamanti
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Roma // fino al 12 giugno 2016
Mario e Marisa Merz
Sto in quella curva di quella montagna che vedo riflessa in questo lago di vetro. Al tavolo di Mario
a cura di Claudio Crescentini, Costantino D’Orazio e Federica Pirani
MACRO, Museo d’Arte Contemporanea, Roma
Via Nizza 138 - 00198 Roma
http://www.museomacro.org
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Photo credits:
1. Mario e and Marisa Merz
Senza titolo, 2002
Ferro, vetro, terracotta
750 x 780 x 100 cm
Courtesy Fondazione Merz,Torino
2. Mario Merz
Un segno nel Foro di Cesare, 2003
Neon
1400 x 1800 cm
Courtesy Fondazione Merz, Torino
3. Marisa Merz
Senza titolo, 1983
Bronzo
30 x 22 x 22 cm
Collezione Marilena Bonomo
Courtesy Galleria Alessandra Bonomo, Roma
4. Claudio Abate
Mario e Marisa Merz alla Galleria Mara Coccia, Roma, 1968
stampa fotografica
60 x 50 cm
Courtesy dell’artista
Marzo 2016
Elena Tettamanti