A partire dalla primavera del 1987 Nigro elabora la serie dei “Ritratti”, presi dall’universo mitologico, come nel caso Da i ritratti: Agamennone, 1988, o basati sulla riflessione sull’azione stessa del dipingere, Da i ritratti: ritratto di un dipinto, 1988. All’anno successivo risalgono i “Dipinti satanici” (una risposta ribelle e rabbiosa alla condanna imposta a I versi satanici di Salman Rushdie, pubblicato nel 1988 e oggetto di scomunica da parte degli Ayatollah iraniani) in cui la pennellata si impone come una solida colonna che riempie quasi completamente il campo e dove il colore si fa più drammatico come in Da i dipinti satanici: rivoluzione, 1989 e Da i dipinti satanici: lotta, 1989.
Riattivato l’interesse per una tavolozza chiara, Nigro approda in tarda età alle “Strutture”, realizzate tra il 1990 e il 1992 di cui sono presenti in mostra 6 strutture, 1991 e 25 strutture, 1992, l’ultimo quadro dipinto dall’artista. In questo ciclo è il colore stesso a dare vita ad accorpamenti più o meno concentrati, dove l’istinto e il gesto dell’artista ne determinano la conformazione, che risulta alleggerita grazie alla sottigliezza del tratto. Nelle strutture le piccole linee che hanno costituito una presenza importante nelle composizioni di Nigro costruiscono dei nuclei in cui il loro intersecarsi crea un’accelerazione, un accumulo sul fondo bianco della tela. Come segni tracciati da un calligrafo, costruiscono una sequenza e ricordano una scrittura musicale.
Se la griglia e le proporzioni hanno costituito per tutta la carriera di Nigro un imprescindibile punto di riferimento pittorico e mentale in cui riversare tanto principi matematici quanto sentimenti e pulsioni, nelle ultime opere della sua vita l’artista raggiunge quasi un grado zero del suo linguaggio lasciando spazio alla delicatezza, alla libertà e alla qualità incisa nel mezzo della pittura, che rimarrà sempre il punto cardine della sua ricerca.
Crediti per le fotografie
Prima foto: Bruno Bani ©, Milano
Seconda e terza foto: Agostino Osio ©, Milano
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